Epicondilite

di Lorenzo Virelli

 

 

 

 

  • Definizione

L’epicondilite, spesso definita “gomito del tennista”, è una patologia su base degenerativa che può interessare i tendini di alcuni muscoli estensori dell’avambraccio. È spesso legata ad alcune attività sportive e lavorative che possono determinare un sovraccarico funzionale e, a lungo andare, una degenerazione tendinea associata a dolore ed impotenza funzionale.

Nonostante il nome con cui viene comunemente designata, soltanto il 40% – 50% dei tennisti amatoriali né è affetto mentre la sua incidenza, ovvero il numero di nuovi casi per anno nella popolazione, è pari a 1% – 2%.

  • Ma di cosa stiamo parlando? Ovvero: cos’è esattamente l’epicondilo? Quali sono e che funzione hanno i muscoli estensori dell’avambraccio?

L’epicondilo è quella salienza ossea che è possibile palpare sulla parte laterale del gomito. È una struttura che appartiene alla parte più distale, o epifisi, dell’omero e costituisce il punto da cui hanno origine alcuni dei muscoli estensori dell’avambraccio.

Il complesso degli estensori è un gruppo muscolare che ha la funzione di aprire le dita ed estendere la mano sull’avambraccio. Inoltre, lavorando in sincrono con la muscolatura flessoria e con i muscoli intrinseci localizzati nella mano, è in grado di stabilizzare le articolazioni dell’avambraccio, della mano e delle dita e di produrre la vasta e sofisticato gamma di movimenti propri della mano. Alcuni dei muscoli che fanno parte di questo complesso sistema prendono origine dall’epicondilo laterale, tramite un tendine comune, e vengono denominati muscoli epicondiloidei:

Anatomia dell’avambraccio e dei muscoli epicondiloidei

  1. l’estensore radiale breve del carpo (ERCB), che si inserisce sul terzo osso metacarpale
  2. l’estensore comune delle dita (ECD), che si inserisce sulle dita dal 2° al 4°
  3. l’estensore del mignolo (E 5°), che si inserisce sulla falange del 5° dito
  4. l’estensore ulnare del carpo (EUC), che si inserisce sul 5° metacarpo

Tra questi il tendine più frequentemente coinvolto e quello del ERCB.

  • Come si instaura l’epicondilite?

Come precedentemente accennato l’epicondilite è una patologia da sovraccarico funzionale, per gli anglofoni overuse, in cui cicli ripetuti di stress meccanico creano dei microtraumatismi e impediscono al tendine di rispondere correttamente al lavoro richiesto. I fattori predisponenti sono quindi tutte quelle attività che richiedono un uso ripetuto o prolungato della muscolatura estensoria, a cui si sommano tutte le condizioni di aumentato stress ossidativo e metabolico (fumo, obesità, ecc).

In questo tipo di patologie, comuni anche ad altri distretti tendinei (v. Tendine di Achille), è probabile che l’overuse determini, in un primo momento, una risposta di tipo infiammatorio, che è però transitoria e non riesce a riparare il danno iniziale. Subentrano quindi: fenomeni degenerativi che minano la struttura stessa del tendine: al suo interno possiamo osservare una perdita dell’architettura, fenomeni di neoangiogenesi (la formazione di piccoli capillari) e proliferazione di fibroblasti (cellule del tessuto connettivo normalmente non presenti nel tendine). Esistono delle sedi preferenziali in cui si instaurano i processi degenerativi.

Nel caso dell’epicondilite la sede in cui si manifesta più di frequente e sul tendine dell’ERCB, a circa 1,5 cm dall’inserzione sull’epicondilo omerale. Solo in un ristretto numero di casi la lesione viene riscontrata sul tendine dell’ECD.

In questa ottica sarebbe più corretto parlare di tendinosi angioblastica del tendine dell’ERCB.

 

  • Come riconoscere l’epicondilite?

L’anamnesi, ovvero l’insieme delle notizie riportate dal paziente sulla sua patologia, e l’esame clinico sono i due elementi fondamentali dell’iter diagnostico che consente di riconoscere l’epicondilite. Il paziente tipo ha un’età compresa tra 30 e 50 anni e nella sua storia di frequente compaiono attività sportive amatoriali o lavori particolarmente stressanti per la muscolatura epicondiloidea.

Il tennis è lo sport più classicamente correlato all’epicondilite e gli elementi “incriminati” sono le doti tecniche insufficienti e l’utilizzo di strumenti inadeguati (racchette troppo rigide, fuori misura, con corde non ammortizzanti, palline di scarsa qualità). Nella lista degli sport a rischio compaiono anche tutti gli sport in cui venga impiegata una racchetta, il lancio del giavellotto, la scherma e la pesistica.

Tra i lavori a rischio figurano quelli che implicano il trasporto di carichi mantenuti in sospensione, alcuni lavori manuali che implicano movimenti ripetuti e ripetitivi delle mani con flessione del braccio e rotazione del polso (idraulico, elettricista, falegname, cuoco, macellaio, imbianchino, musicista, ecc.).

Inoltre diversi studi hanno correlato l’obesità ed il tabagismo ad una maggiore probabilità di comparsa dell’epicondilite.

I sintomi classicamente riferiti dal paziente sono il dolore alla regione esterna del gomito e l’impotenza funzionale eventualmente accompagnati da gonfiore locale. Il dolore all’inizio della patologia è spesso poco accentuato e scarsamente considerato, ma tende ad aumentare progressivamente con il passare del tempo. È localizzato generalmente in prossimità dell’epicondilo ed aumenta con la digitopressione  ed i movimenti che mettono in funzione la muscolatura estensoria.

Con il progredire della patologia subentra anche una riduzione della forza muscolare degli estensori che arriva ad essere dimezzata rispetto al lato non affetto da epicondilite e che si manifesta nella prensione, nelle attività di sollevamento e anche nella manipolazione fine degli oggetti.

 

Il test di Cozen consiste nell’estendere il polso contro la resistenza effettuata dall’esaminatore tenendo il gomito esteso ed è positivo se evoca dolore.

Il test di Mills consiste invece nel girare l’avambraccio verso l’interno contro resistenza ed anch’esso è positivo se evoca dolore. Un test provocativo utilizzato di frequente consiste nel far sollevare una sedia al paziente tenendola dall’alto per la spalliera, anch’esso risulterà positivo con la comparsa di dolore.

Tra le patologie che possono dare una sintomatologia simile all’epicondilite e richiedono una diagnostica differenziale troviamo le osteocondrosi prossimali del radio, l’instabilità dell’articolazione del gomito, le radicolopatie cervicali,  la compressione del nervo interosseo.

  • La diagnostica strumentale

La clinica è spesso sufficiente per definire una diagnosi precisa, tuttavia in situazioni dubbie può essere necessario ricorrere ad indagini strumentali. L’indagine di primo livello è l’ecografia che può darci informazioni in merito al danno tissutale e, essendo una metodica economica e ripetibile, può essere impiegata nel follow-up per verificare l’efficacia del trattamento. Le alterazioni ecografiche riscontrabili comprendono l’edema all’inserzione tendinea, irregolarità della zona di inserzione, aree di degenerazione e calcificazioni. Il reperto più frequentemente riscontrato è una lesione delle fibre profonde del tendne comune degli estensori, nella zona di pertinenza dell’ERCB.

Anche la risonanza magnetica (MR) può essere impiegata nei casi dubbi o scarsamente responsivi al trattamento, sia per l’approfondimento diagnostico che per una eventuale valutazione preoperatoria.

  • Come si tratta l’epicondilite?

Una volta diagnosticata la patologia è importante intervenire sui fattori scatenanti ed adottare in terapie volte a ridurre la sintomatologia. Il trattamento conservativo, generalmente, è sufficiente per arrivare ad una guarigione completa in un tempo in media compreso tra 3 e 6 mesi. Nei casi recidivanti o in cui il trattamento conservativo prolungato per 6 – 12 mesi non sia stato risolutivo può essere impiegato il trattamento chirurgico. I protocolli di trattamento si differenziano in base alla fase in cui si trova la patologia:

  1. Fase acuta: la patologia è all’inizio e prevale la componente infiammatoria. È sufficiente l’impiego della crioterapia (ghiaccio), associata a riposo e bendaggio compressivo.
  2. Fase subacuta: la patologia è progredita verso una fase degenerativa. È indicato il ricorso alla terapia farmacologica infiltrativa locale con cortisone o PRP (plasma ricco in fattori piastrinici), associato a protocolli di riabilitazione, stretching e tutori in grado di modificare l’angolo delle forze che agiscono sul tendine comune degli estensori e assorbirle parzialmente. Rimane dibattuto il ricorso alla terapia con onde d’urto.

 

 

3.Fase cronica: la patologia è in fase degenerativa avanzata. È indicato il trattamento chirurgico dopo 6 – 12 mesi di trattamento conservativo senza successo.

Lorenzo Virelli

 

BIBLIOGRAFIA

Ultrasound assessment of the elbow

Goran Radunovic, VioletaVlad, Mihaela C. Micu, Rodina Nestorova, Tzvetanka Petranova, Francesco Porta, Annamaria Iagnocco.

Current concepts of elbow-joint disorders and their treatment

Katsunori Inagaki

Evaluation and Management of Elbow Tendinopathy

Samuel A. Taylor, MD, and Jo A. Hannafin, MD, PhD

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