La Sindrome da conflitto sottoacromiale

Molto comunemente nella pratica clinica ci si imbatte in una patologia dolorosa cronica della spalla definita “sindrome da conflitto”.

Alla base della situazione di  malattia è riconosciuta la sofferenza del tendine del muscolo sovraspinoso che per raggiungere la sua inserzione distale sulla grande tuberosità omerale  è costretto a passare al di sotto di una volta formata dall’articolazione acromion-clavicolare, dal legamento coraco acromiale e dall’acromion stesso. Questo porta alla formazione di una vera e propria “articolazione fisiologica” come descritto da Kessel e Watson ( J.Bone J.Surg. 1977).

Il tendine del sovraspinoso percorre uno spazio che potremmo definire come un “tunnel” delimitato superiormente e  posteriormente dall’acromion, dal legamento coraco-acromiale e   dall’articolazione acromioclavicolare.

Il restringimento di questo spazio è la causa principale della sindrome da conflitto

Normalmente questa area con il braccio posizionato a  0° di abduzione ha un estensione in altezza che va  dai 25 a 35 mm con una media di 30mm, mentre con il braccio a 90° di abduzione diminuisce fisiologicamente fino a 6 mm di media, con variazioni da 3,6 a 8,4 mm (Flatow e Soslowsky, Am. J. Sports Med., 1994) .

Quando il braccio è posizionato in posizione neutra l’inserzione del tendine del sopraspinoso è situata anteriormente all’acromion. Questo si accentua nei movimenti di  rotazione interna.

Movimenti ripetuti specie se in abduzione oltre i 90° ed in anteposizione od in caso di presenza di ostacoli come un osteofita della superficie inferiore dell’acromion portano ad un usura meccanica del tendine, specie se eseguiti con notevole impegno di forza. Anche l’ipercifosi concorre a restringere lo spazio.

Il restringimento permanente di questo spazio può essere dovuto secondo Neer alla forma e dimensione dell’acromion, ad un osteofita acromiale anteriore, od a protuberanze dell’articolazione acromioclavicolare. Altre cause meno frequenti possono essere ad  esempio la prominenza della grande tuberosità dell’omero, la perdita degli abbassatori della testa, la perdita del fulcro gleno-omerale o del meccanismo sospensore, l’ispessimento della borsa sottoacromiale o della cuffia dei rotatori,  malformazioni  congenite dell’acromion, oltre a difetti del meccanismo pendolare da disturbi importanti degli arti inferiori (paraplegia, amputazioni, artrosi grave).

Un osteofita della superficie inferiore dell’articolazione acromioclavicolare può restringere lo spazio occupato dal sovraspinoso causando una sindrome da conflitto. L’osteofita può essere all’origine della patologia da conflitto o conseguente ad una situazione infiammatoria cronica per fenomeni reattivi edegenerativi.

Durante i movimenti di abduzione e anteposizione  il movimento del tendine è costretto in uno spazio ridotto e questo, specie per movimenti ripetuti e per attività sportive o lavorative gravose, costituisce un motivo di usura da conflitto.

Normalmente la tendenza alla risalita della testa omerale per azione del muscolo deltoide è contrastata  dalla cuffia e dal tendine del sovraspinoso. In caso di lesione anche parziale di questo traumatica o conseguente ad una sindrome da conflitto l’azione stabilizzante viene persa o fortemente compromessa ed il tendine del sovraspinoso si trova a soffrire ulteriormente in quanto viene a trovarsi compresso tra la testa omerale risalita maggiormente in quanto non più trattenuta  e la volta acromiale.

In definitiva in seguito ad uno scorretto od  eccessivo utilizzo dell’arto superiore oltre i 90° come in alcune attività lavorative usuranti o ad esempio negli sport come il tennis, la pallavolo, la pallanuoto,  si viene a creare una eccessiva usura del tendine del sovraspinoso con aumento della compressione capillare (Moseley e Goldie, J.Bone Joint Surg. 1963), ed inizialmente edema ed emorragia associati a dolore. Questa fase è ancora reversibile con il riposo e conseguente recupero biologico. In caso di proseguimento dell’agente o della causa traumatizzante si crea una fibrosi vera e propria con tendinite ed ispessimento della borsa sottoacromiale. Questa situazione acquisita restringe ulteriormente il tunnel del sovraspinoso ed  è associata alla presenza di dolore costante nei movimenti di abduzione oltre i 90°, mentre nell’utilizzo comune  non è presente. In una fase ancora successiva (III stadio di Neer) il conflitto persistente causa una lacerazione parziale o completa della cuffia dei rotatori, la rottura del tendine del bicipite brachiale e la produzione di osteofiti degenerativi che a loro volta creano un peggioramento della biomeccanica della spalla ed un ulteriore restringimento del tunnel. Si crea quindi così un circolo vizioso che autoperpetua e aggrava la patologia.

Altre cause aggravanti sono l’eventuale rigidità della capsula posteriore e la diminuita mobilità della scapola, infatti  una rigidità della scapolo-toracica non assecondante i movimenti di abduzione oltre i 90° ostacola il corretto orientamento del tunnel del sovraspinoso causandone  un ulteriore restringimento.

E’ ovvio che nei casi molto gravi dello stadio II o in stadio III andrà sempre in prima istanza valutata la possibilità di una terapia di ordine chirurgico, al fine di  rimuovere o riequilibrare le cause di conflitto biomeccanico ed eventualmente riparare ove possibile le lesioni della cuffia; normalmente ci si trova in presenza di pazienti al di sopra dei 40 anni di età, afflitti da dolore continuo, con reperto di rottura parziale o completa della cuffia e di osteofiti.

In stadio I di Neer o nelle forme più lievi dello stadio II dove la componente di disfunzionamento biomeccanico è prioritaria, il trattamento riabilitativo trova una collocazione primaria.

Risulta intuitivo come per agire su delle cause di ordine biomeccanico sia necessario per prima cosa tentare di ricostruire una normale dinamica del movimento in modo da favorire il normale scorrimento del tendine evitando così le cause di infiammazione e di usura conseguenti al conflitto.

Il programma riabilitativo naturalmente deve essere personalizzato e consegue ad un attento studio clinico e strumentale del paziente; viene effettuato nel corso del trattamento rieducativo un bilancio articolare preventivo e regolare che consentirà di valutare i progressi ottenuti e quindi i necessari cambiamenti del piano di trattamento.

Si priviligerà in una prima fase il miglioramento della mobilità articolare, sia della scapolo-toracica che della scapolo-omerale entro certi limiti articolari da indicare nel programma personalizzato. Molto importante la mobilizzazione passiva della scapolo-toracica come illustrato nell’immagine; un’altra regola da seguire è quella di non bloccare la scapola durante la mobilizzazione passiva od assistita, anche questa volta per evitare il restringimento dello spazio e la sofferenza del tendine. Si potrà utilizzare la crioterapia in caso di infiammazione acuta, lesioni recenti o dopo eccessive sollecitazioni. L’applicazione di calore secco per 5 minuti prima degli esercizi di mobilizzazione passiva assistita permette di ottenere un più efficace rilasciamento muscolare ed un miglioramento della circolazione locale.

La mobilità, specie quella passiva ed assistita  inizialmente deve essere preferita al potenziamento, che risulterà più semplice e più efficace una volta raggiunta una corretta dinamica articolare, in modo da evitare che il potenziamento sia esso stesso causa di un ulteriore sofferenza del tendine non perfettamente libero di scorrere senza conflitti per una mancanza di mobilità.

Gli esercizi per il recupero dell’escursione articolare (passivi, assistiti e di stiramento) devono essere effettuati per brevi periodi, ripetuti spesso, a muscolatura rilasciata, meglio per 5 minuti 5 volte al giorno che in un’unica seduta concentrata, la scapola non deve essere bloccata

Una volta scomparso il dolore e raggiunta una sufficiente mobilità si passerà alla fase di potenziamento seguita da un periodo di riposo per consentire il recupero con esercizi isometrici e attivi contro resistenza una volta al giorno.

Una volta raggiunta la stabilità articolare dinamica  e la necessaria elasticità  si passerà ad una ulteriore fase di potenziamento, di coordinazione e propriocettivo, al recupero  dell’abilità del gesto, e quindi al ritorno progressivo all’attività sportiva.

In caso di intervento chirurgico la riabilitazione dovrà prevedere una fase di protezione dell’intervento stesso, ed un programma articolato da concordare con il chirurgo che in linea di massima prevede un periodo di circa 28 settimane prima del ritorno all’attività sportiva, oltre ad una fase di mantenimento con cicli riabilitativi regolari e la correzione di eventuali squilibri sopraggiunti.

Naturalmente ogni singolo caso clinico necessiterà di una attenta valutazione e di un continuo monitoraggio dei parametri articolari. Il percorso riabilitativo andrà  modificato, adattato e personalizzato in corrispondenza della tipologia di lesione e della risposta del paziente e non andrà effettuato senza una stretta coordinazione tra le varie figure professionali chiamate ad intervenire , pena il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati.

 

Dr. Matteo Pennisi

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