LA PUBALGIA

Dott. Matteo Pennisi

Centro Europeo Colonna Vertebrale – Italia

 

La “pubalgia” è una sindrome dolorosa  con frequente tendenza alla cronicizzazione che si manifesta con una sintomatologia dolorosa localizzata  a livello della regione pubica, addominale ed inguinale (sindrome inguino-pubica). Il dolore può interessare la singola regione o distribuirsi in maniera variabile a seconda delle strutture interessate dal sovraccarico, può essere costante ma di solito compare o si esacerba con l’attività fisica e sportiva.

La pubalgia  interessa frequentemente chi pratica sport in maniera assidua e regolare ed in particolare gli atleti di alto livello, in particolare i calciatori, ma anche i praticanti tennis, atletica, scherma, pallamano, danza, equitazione, e quindi anche i praticanti la corsa, in quanto generalmente espressione di sovraccarico biomeccanico.

Particolarmente nel corridore tale sindrome è presente con una certa frequenza, e spesse volte ha carattere tanto invalidante da interferire seriamente con l’attività sportiva.

La sinfisi pubica è un’articolazione (anfiartrosi) a mobilità ridotta su cui si inseriscono diverse strutture muscolo-tendinee che compartecipano sinergicamente ai movimenti degli arti inferiori rispetto al tronco e viceversa.

Nella maggior parte dei casi la pubalgia è dovuta ad  una mioentesite (infiammazione muscolo-tendinea) dovuta al  sovraccarico biomeccanico interessante i punti di inserzione sull’osso pubico di diversi muscoli: adduttori, muscoli della parete addominale inferiore (i muscoli retti che continuano le linee di forza della parete addominale ed i muscoli che costituiscono l’anello inguinale) , il muscolo piramidale, il pettineo.

La pubalgia può essere favorita dagli eventuali squilibri funzionali intercorrenti tra i muscoli addominali e la muscolatura adduttoria: infatti in caso di insufficienza della muscolatura addominale rispetto alla muscolatura adduttoria  ben strutturata ed eccessivamente rigida potrebbe essere alla base del sovraccarico inserzionale e quindi del dolore.

Il sovraccarico può essere alle volte favorito da squilibri biomeccanici (asimmetria da ipometria arti inferiori, alterazione dell’appoggio plantare, deviazioni della colonna, iperlordosi, asimmetrie articolari, retrazioni o rigidità muscolari).

Altre volte possono essere interessate strutture  ossee o articolari (ad esempio una patologia dell’articolazione coxo-femorale), oppure più raramente la sintomatologia dolorosa può derivare da  patologie infettive, borsiti, intrappolamenti nervosi, malattie tumorali, ecc.

La diagnosi differenziale deve tenere in considerazione anche la possibilità che il dolore nella regione possa essere da ricondurre ad una  ernia inguinale, adenopatie, patologie urologiche, fratture da stress, una lesione muscolare vera e propria degli adduttori.

Nel caso del corridore la pubalgia viene spesso provocata dal sovraccarico miotendineo ripetuto nei punti di inserzione prossimale degli adduttori.

Le cause più frequenti del sovraccarico possono essere:

-calzature sportive inadatte o non corrispondenti alle caratteristiche specifiche dell’atleta

-esercizio della corsa su fondo troppo rigido o irregolare.

-non sufficiente equilibrio fra la muscolatura degli arti inferiori e quella addominale con conseguente squilibrio biomeccanico e sovraccarico sui punti di inserzione.

-allenamento troppo intensivo o errato qualitativamente (mancato rispetto delle distanze adatte al singolo individuo anche in relazione al rapporto peso/altezza), specie se effettuato senza adeguato riscaldamento

-eccesso ponderale

-insufficiente preparazione atletica, rigidità muscolare, insufficiente stretching.

L’associazione del calcio o del calcetto con la corsa incrementa la percentuale di pubalgia, in quanto in questi sport le sollecitazioni dinamiche, i bruschi cambi di posizione ed il tipo di fondo sono condizioni facilitanti le concentrazioni dei carichi sulle strutture poi interessate dalla sintomatologia dolorosa.

 

 

L’allenamento con aumentata incidenza di lavoro in discesa facilita anch’esso la comparsa di pubalgia in maggiore percentuale.

In caso di comparsa di pubalgia la prima cosa da fare è sospendere momentaneamente l’attività sportiva causa del sovraccarico. Infatti il dolore, di tipo nocicettivo, sta ad indicare una sofferenza dei tessuti interessati causata dall’intensa attività e va considerato come una spia di avviso di un eccesso di carico meccanico rispetto alle resistenze dei tessuti interessati. La prosecuzione dell’attività causa del sovraccarico comporta una ulteriore compromissione dei tessuti con facilitazione della cronicizzazione del fenomeno causa di ulteriori processi infiammatori e degenerativi dei tessuti con conseguente indebolimento degli stessi.

Alla comparsa della pubalgia conviene osservare un periodo di riposo sportivo dai 20-30 giorni ai tre mesi, a seconda dell’entità e del tipo di lesione rilevata. L’esame clinico ha il compito di accertare  l’origine della sindrome dolorosa. In generale le cause più comuni riscontrate sono la tendinite degli adduttori, l’ artropatia della sinfisi pubica oppure la patologia parietale addominale .

Esame clinico

Oltre all’esame clinico che ha il compito di meglio definire le strutture realmente interessate ed accertarsi dell’eventuale presenza di altri tipi di patologia responsabili della sindrome dolorosa è indicata su indicazione medica in caso di persistenza del dolore l’effettuazione di alcuni accertamenti consistenti nell’ecografia, la radiografia ed eventualmente un esame con risonanza magnetica.

 

 

Spinometria computerizzata Formetric (Rasterstereografia)

Utile inoltre un esame posturale per valutare l’eventuale presenza di squilibri biomeccanici. Uno degli esami più utili è la Spinometria (Rasterstereografia) di superficie Formetric, in quanto consente senza esecuzione di esami invasivi di riscontrare e misurare asimmetrie posturali ed ipometrie.

 

 

 

 

 

 

Se identificata la patologia in fase precoce il trattamento incruento riabilitativo della pubalgia è capace in genere di dare dei  buoni risultati se condotto in modo appropriato e nei tempi corretti.

Oltre alla terapia farmacologica ed alla eventuale modifica della calzatura e del gesto sportivo, viene intrapreso dopo un periodo di riposo che può essere variabile da caso a caso un programma di stretching, chinesiterapia  e normalizzazione sinergica  delle strutture risultate deficitarie all’esame clinico (in genere rinforzo della muscolatura della parete addominale).

Può essere associata una terapia fisica strumentale locale (solo su indicazione medica, in quanto la presenza di altre patologie ne potrebbe controindicare l’utilizzo) come laser, ultrasuoni, mesoterapia, Tecarterapia,  terapia ad onde d’urto.

In casi estremi, non rispondenti al trattamento conservativo e limitanti l’attività del soggetto si può ricorrere al trattamento chirurgico dopo aver individuato con buona precisione la sede e le cause della sindrome dolorosa (in genere la parete addominale).

Dott. Matteo Pennisi

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